Il medulloblastoma (MB), il tumore del cervelletto, è una delle principali cause di mortalità infantile per cancro. In un modello murino di MB spontaneo, è stata dimostrata la correlazione tra MB e un difetto della migrazione delle cellule precursori cerebellari (GCPs). La chemiochina Cxcl3, responsabile della migrazione dei GCPs, può pertanto sopprimere lo sviluppo delle lesioni preneoplastiche.

Stato del brevetto

CONCESSO

Numero di priorità

TO2012A000858

Data di priorità

02/10/2012

Licenza

INTERNAZIONALE

Mercato

Negli Stati Uniti l’incidenza annuale del medulloblastoma è di 6 casi ogni milione di bambini, ovvero circa 450 nuovi casi ogni anno [Smoll et al., J Clin Neurosci 2012; 19: 1541]. La frequenza tumorale decresce progressivamente con l’età: nel periodo 2001-2013 l’incidenza di MB negli USA è stata dello 0,55 per 100.000 abitanti nei bambini di età compresa tra 0 e 4 anni, 0,57 per 100.000 abitanti nei bambini di 5-9 anni, 0,32 per 100.000 abitanti nei bambini tra 10 e 14 anni e 0,16 per 100.000 abitanti negli adolescenti di età compresa tra 15 e 19 anni [Khanna et al., J Neurooncol 2017; 135: 433]. In Italia, il tasso di incidenza di MB, standardizzato per età, è di 6,9 casi per milione per anno per i maschi e di 4,4 per le femmine [AIRTUM Working Group et al., Epidemiol Prev 2013; 37: 1]. I maschi mostrano, dunque, un tasso di incidenza più elevato rispetto alle femmine (1.5 volte maggiore), con una significativa differenza tra i sessi anche nel tasso di sopravvivenza dei pazienti di età superiore ai 3 anni [Curran et al., Pediatr Blood Cancer 2009; 52: 60]. Sebbene il MB insorga principalmente nell’infanzia, il 30% circa dei medulloblastomi compare nell’adulto (di età pari o superiore a 20 anni), dove rappresentano meno dell’1% di tutti i tumori del sistema nervoso centrale [Crawford et al., Lancet Neurol 2007; 6: 1073].

Problema

Le neoplasie del sistema nervoso centrale sono, dopo le leucemie, la principale forma di cancro pediatrico e rappresentano la prima causa di mortalità correlata al cancro nell’infanzia; tra queste, il medulloblastoma (MB) è senza dubbio la più comune, costituendo il 20% circa di tutti i tumori cerebrali pediatrici [Rossi et al., Clin Cancer Res 2008; 14: 971]. Il MB risulta frequentemente associato ad un aumento della pressione intracranica ed i suoi sintomi predominanti sono il vomito mattutino, l’emicrania, l’atassia e la nausea. Una pericolosa caratteristica di questo tumore è la sua tendenza a metastatizzare: alla diagnosi, infatti, l’11-43% dei pazienti mostra disseminazione nel sistema nervoso centrale, particolarmente nel liquido cefalorachidiano e nelle meningi, mentre meno comune è lo sviluppo di metastasi extraneurali nelle ossa, nel midollo osseo, nei linfonodi, nel fegato e nel polmone [MacDonald et al., Oncologist 2003; 8: 174]. L'attuale trattamento multimodale del MB, comprendente chirurgia, radioterapia e chemioterapia, consente tassi di sopravvivenza accettabili, ma i pazienti soffrono di gravi effetti collaterali quali disfunzioni neurocognitive permanenti e neoplasie secondarie. Pertanto, sono urgentemente necessarie nuove possibilità terapeutiche, più efficaci e meno tossiche.

Limiti attuali tecnologie / Soluzioni

L’attuale trattamento del MB, che combina la resezione chirurgica con l’irraggiamento cranio-spinale e la chemioterapia, offre ai bambini un tasso di sopravvivenza a cinque anni senza recidiva variabile dal 50% all’80% in funzione dell’estensione dei residui neoplastici post-operatori, della presenza di metastasi diffuse e dell’età del soggetto (minore o maggiore di 3 anni) al momento della diagnosi, fattori prognostici che distinguono i pazienti ad alto rischio da quelli a rischio standard. Il trattamento multimodale, tuttavia, comporta devastanti effetti collaterali quali ritardo nella crescita scheletrica, disfunzioni endocrine, progressivo danneggiamento cognitivo, disturbi psichiatrici e difficoltà sociali [Crawford et al., Lancet Neurol 2007; 6: 1073], nonché la comparsa di recidive e tumori secondari [Goldstein et al., Cancer Causes Control 1997; 8: 865]. Esiste, quindi, l’urgente necessità di scoprire vie di trattamento alternative che incrementino la specificità per le cellule tumorali e minimizzino il danno al cervello in sviluppo.

Killer Application

Sino a poco tempo fa, la stratificazione terapeutica dei pazienti affetti da MB era effettuata sulla base del grado di radicalità chirurgica, della presenza di metastasi e del sottotipo istologico. Recentemente è stato proposto un nuovo e più preciso metodo di stratificazione dei pazienti basato sui profili di espressione genica tumorale, che individua 4 sottogruppi principali (Wnt, Shh, Gruppo 3 e Gruppo 4) che differiscono per origine cellulare, eziologia molecolare e prognosi [Hatten et al., Trends Neurosci 2011; 34: 134; Taylor et al., Acta Neuropathol 2012; 123: 465]. Il nostro team ha dimostrato l’efficacia di trattamento con Cxcl3 nel medulloblastoma murino di tipo Shh [Ceccarelli et al., Front Pharmacol 2016; 7: 484], originante dai GCPs che proliferano sulla superficie cerebellare ed esprimono il recettore della chemochina Cxcl3, Cxcr2, sulla loro membrana plasmatica [Farioli-Vecchioli et al., J Neurosci 2012; 32: 15547]. Pertanto, ci aspettiamo che il trattamento terapeutico con Cxcl3 sia efficace anche nei tumori umani di tipo Shh che presentano la medesima origine cellulare. Un’iniziale possibile applicazione della terapia con Cxcl3 potrebbe essere nella sindrome di Gorlin, dove il medulloblastoma di tipo Shh è trasmesso geneticamente (frequenza 1:50.000), e quindi la sua insorgenza è più prevedibile e monitorabile sin dalle fasi iniziali di sviluppo. In caso di successo, l’applicazione della terapia potrebbe essere estesa a tutti quei pazienti che allo screening genetico risultassero affetti da un MB di tipo Shh.

Tecnologia e nostra soluzione

Il nostro team ha osservato che nel modello murino di MB spontaneo Ptch1+/-/Tis21-/- un aumento drammatico della frequenza tumorale è causato da una compromissione della migrazione delle cellule precursori dei granuli (GCPs) dalla superficie cerebellare agli strati interni, durante lo sviluppo. Abbiamo dimostrato che questo aumento di MB si verifica perché i GCPs rimangono più a lungo nell'area proliferativa esterna, piuttosto che differenziare e migrare internamente, diventando potenziali bersagli di trasformazione neoplastica. Abbiamo identificato la chemochina Cxcl3 come responsabile della migrazione verso l'interno dei GCPs [Farioli-Vecchioli et al., J Neurosci 2012; 32: 15547] e abbiamo dimostrato che la somministrazione cronica (per 4 settimane) della chemochina Cxcl3 nel cervelletto dei topi Ptch1+/-/Tis21-/- di 1 mese di età sopprime lo sviluppo delle lesioni preneoplastiche, correggendo il difetto di migrazione dei GCPs ed inducendone il differenziamento [Ceccarelli et al., Front Pharmacol 2016; 7: 484].

Vantaggi

L’approccio terapeutico contro il MB proposto dal nostro team – la somministrazione della chemochina Cxcl3 – potrebbe consentire il superamento delle attuali terapie, dirette contro la proliferazione e la sopravvivenza delle cellule tumorali attraverso l’utilizzo di sostanze chimiche tossiche. L’azione pro-migratoria della chemochina Cxcl3, infatti, è volta all’uscita delle cellule neoplastiche dall’area proliferativa alla superficie del cervelletto, con conseguente differenziamento cellulare e arresto del programma neoplastico. Anche qualora Cxcl3 non fosse in grado di sopprimere pienamente lo sviluppo del tumore, la chemochina potrebbe essere comunque utilizzata nel trattamento del MB come terapia adiuvante, volta a ridurre l’estensione del tumore prima della resezione chirurgica o ad aumentarne il differenziamento, rendendolo più sensibile agli agenti chemioterapici. Peraltro, il controllo della migrazione dei precursori neurali, cioè il meccanismo di azione di Cxcl3, risulta essere operativo anche in altri tumori neurali, quindi il valore della terapia da noi proposta potrebbe essere generale.
Il vantaggio principale di Cxcl3 è che, essendo una chemochina, ha recettori sulla superficie delle cellule cerebellari e quindi non ha bisogno di un vettore virale per essere veicolata all’interno delle cellule neoplastiche. Inoltre, Cxcl3, come molecola ricombinante, non mostra effetti di tossicità ed è ampiamente disponibile dal punto di vista farmacologico, il che ne facilita l’utilizzo.

Roadmap

Confermata l’efficacia della chemochina Cxcl3 nell’inibire lo sviluppo del MB murino a stadi di sviluppo più avanzati, il passo successivo sarà quello di testare la possibilità di portare la chemochina Cxcl3 in clinica per la cura dei pazienti. Questo obiettivo richiede inizialmente l’esame dei medulloblastomi umani per determinare se questi siano in grado di rispondere al trattamento con Cxcl3: i tumori saranno prelevati in sede di intervento chirurgico e il progetto sarà, dunque, svolto in collaborazione con i medici e i ricercatori dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. In seguito, le cellule tumorali espiantate saranno impiegate per la produzione di PDX (patient derived xenograft) e di colture cellulari 3D, al fine di verificare sia in vivo che in vitro la capacità della chemochina Cxcl3 di indurre la migrazione ed il differenziamento in neuroni delle cellule tumorali umane, causando la regressione del medulloblastoma.

Stadio di sviluppo

Facendo seguito al lavoro del 2016 nel quale è stata testata con successo la somministrazione intracerebellare di Cxcl3 in stadi tumorali precoci [Ceccarelli et al., Front Pharmacol 2016; 7: 484], il nostro team sta attualmente investigando l’efficacia del trattamento con Cxcl3 a stadi di sviluppo del MB più avanzati. A tale scopo, animali Ptch1+/-/Tis21-/- di 3 mesi di età sono stati sottoposti per 28 giorni a cronica somministrazione della proteina Cxcl3 ricombinante attraverso l’impianto di una Alzet minipompa osmotica nel cervelletto. Risultati preliminari indicano che il trattamento con Cxcl3 rispetto al solo veicolo (CSF, fluido cerebrospinale) è in grado di promuovere la migrazione verso gli strati cerebellari interni e il differenziamento dei GCPs neoplastici, con conseguente uscita dal programma tumorale e riduzione della frequenza e dell’estensione delle iperplasie. Questi risultati preliminari supportano l’ipotesi che la chemochina Cxcl3 riesca a ostacolare lo sviluppo del MB anche in uno stadio più avanzato del processo di tumorigenesi, quando tutte le lesioni preneoplastiche presenti sulla superficie del cervelletto sono ormai irrimediabilmente committed a tumore conclamato [Farioli-Vecchioli et al., J Neurosci 2012; 32: 15547].

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